Chi era Francesco Griffo?
Di James Clough
2016
Caratteri come Times o Garamond in cui ci imbattiamo così spesso leggendo i nostri libri e lavorando sui nostri computer hanno le loro origini in un libro stampato da Aldo Manuzio a Venezia a fine Quattrocento. Le forme delle lettere di quei caratteri e di tanti altri a loro simili rappresentano l’unico prodotto artistico del Rinascimento italiano che è rimasto praticamente inalterato fino a oggi.
A quei tempi la produzione di caratteri mobili iniziava con l’incisione di ogni lettera su blocchetti di acciaio per fare i punzoni. Questo era il vero cuore dell’arte tipografica e richiedeva all’incisore molta precisione e un’oculata sensibilità per le forme delle lettere. Per realizzare i suoi caratteri Manuzio ebbe la fortuna di avvalersi della collaborazione di un artigiano di eccezionale abilità, noto al tempo come Francesco da Bologna e il cui vero nome, Francesco Griffo, fu scoperto solo nel 1883. Tra i vari caratteri che Griffo incise per Manuzio, quello che appare per la prima volta nel De Aetna del 1496 è il più importante per la storia della tipografia.
Sebbene quel carattere fosse stato preceduto dal celebre romano del francese Nicolas Jenson – che esordisce nel suo Eusebio, stampato sempre a Venezia nel 1470 – furono le nuove proporzioni e i dettagli nel disegno delle lettere del De Aetna a costituire il canone del design del romano per i secoli a venire. Ma al contrario di quello di Jenson, che fu subito acclamato e copiato, il romano di Griffo e le novità che esso portava con sé dovevano attendere più di trent’anni prima di ricevere un tale riconoscimento.
A partire dal 1530 circa il primato dell’innovazione nell’arte tipografica passa da Venezia a Parigi dove fiorisce uno stile nuovo e raffinato, basato su quello veneziano e, in particolare, sul romano del De Aetna. Per il resto del Cinquecento gli incisori francesi, compreso il celeberrimo Claude Garamond, copiarono il carattere inciso da Francesco da Bologna per il De Aetna, un fatto che fu osservato per primo da Firmin Didot in una nota nel suo Virgilio pubblicato a Parigi nel 1806. «Con i suoi caratteri […] Garamond non ha fatto altro che copiare su diversi moduli il carattere di Francesco da Bologna; ed è stato lui a ricevere tutto l’onore […].»
Il sodalizio tra Griffo e Manuzio termina quando quest’ultimo ottiene dal Senato di Venezia un privilegio per l’uso esclusivo del primo corsivo tipografico che Griffo aveva inciso per la riuscitissima collana di classici tascabili inaugurata con il Virgilio del 1501, nel quale leggiamo l’elogio di Aldo all’abilità del suo incisore. Il corsivo fu subito copiato e usato da diversi tipografi fuori dalla giurisdizione della Repubblica Serenissima, e dopo qualche decennio, anche da Garamond. È molto probabile che ci sia stato un diverbio tra incisore e stampatore sulla proprietà del corsivo. Tant’è vero che due anni dopo, nel 1503, Gershom Soncino, tipografo ebreo di rango, pubblica a Fano un Petrarca composto in un corsivo inciso ex novo dallo stesso Griffo. Nella dedica del volume a Cesare Borgia, Soncino nomina il «nobilissimo sculptore de littere latine graece e hebraice chiamato M. Francesco da Bologna» e afferma altresì che a lui spetta la paternità di tutti i caratteri di Manuzio.
Questa sua collaborazione con Soncino, un romano inciso per Ottaviano Petrucci e diversi corsivi eseguiti per altri tipografi in Italia centrale rappresentano tutto ciò che sappiamo dell’attività di Griffo fino al 1516, anno in cui lo ritroviamo a Bologna. È nella sua città natale che Griffo realizza l’ambizione, forse a lungo covata, di aprire la propria tipografia. Stampa sei edizioni di formato ridotto composte in un corsivo molto piccolo (appena 6 punti). Nel primo libro, un Petrarca, troviamo la terza testimonianza stampata che riguarda l’incisore. Questa volta è opera dello stesso Griffo, diventato a sua volta editore-stampatore, che dopo un cenno ai caratteri greci e latini incisi da lui per Manuzio, annuncia il suo nuovo corsivo ai lettori.
Le ultime notizie che abbiamo di lui provengono da un documento scoperto nell’Archivio di Stato di Bologna nel 1899. Riguardano una lite avvenuta nel maggio del 1518 tra Griffo e il genero e terminata con la morte di quest’ultimo, colpito alla testa con un pezzo di acciaio. La sentenza del conseguente processo è andata persa, considerato però che a quei tempi a Bologna per l’omicidio era prevista la pena di morte è probabile che Griffo sia stato condannato.
Qualunque sia stata la sua fine, l’importanza della sua figura nella storia della tipografia è oggi largamente condivisa. Ma le ricerche sulla sua vita e il suo lavoro continuano e – come diceva Giovanni Mardersteig – su Francesco da Bologna «non è ancora stata detta l’ultima parola».